Rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in sede di appello in caso di mutamento di sentenza di assoluzione in sentenza di condanna.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con pronuncia n° 27620 del 6/7/2016, risolvendo un contrasto insorto tra le Sezioni semplici, hanno dato risposta al seguente quesito: “Se sia rilevabile d’ufficio in sede di giudizio di Cassazione la questione relativa alla violazione dell’art. 6 C.E.D.U. per avere il giudice d’appello riformato la sentenza assolutoria di primo grado affermando la responsabilità penale dell’imputato esclusivamente sulla base di una diversa valutazione di attendibilità delle dichiarazioni di testimoni senza procedere a nuova escussione degli stessi”.
Sul punto, la stessa ordinanza di rimessione, dava atto della presenza in materia di due indirizzi contrastanti.
Sezioni semplici: tesi negativa e tesi positiva
Da un lato, i fautori della tesi negativa, ritenevano che la violazione dell’art 6 CEDU, potesse essere eccepita solo dopo che l’imputato avesse esperito tutti i rimedi offerti dall’ordinamento processuale nazionale.
Dall’altro i sostenitori della tesi positiva, replicavano che la violazione in questione potesse essere rilevata d’ufficio ex art 609 co. 2 c.p.p. Stante la natura sovra-legislativa ancorchè sub-costituzionale delle norme CEDU, ben avrebbe potuto infatti il giudice nazionale compiere detta operazione pur in assenza di una specifica deduzione di parte, essendo sufficiente la mera impugnazione della decisione ad essa sfavorevole.
Con pronuncia del luglio 2016, le Sezioni Unite hanno accolto un orientamento del tutto discordante rispetto al passato. I Giudici della Suprema Corte hanno infatti statuito che, la mera diversa interpretazione del materiale probatorio, in mancanza di elementi sopravvenuti, non possa di per sé essere idonea a giustificare una pronuncia di colpevolezza, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio”.
Quando procedere a rinnovazione istruttoria
Si è posto pertanto il problema di comprendere quando si debba procedere a rinnovazione istruttoria. L’art 603 c.p.p individua al tal proposito tre ipotesi specifiche: incapacità del giudice di decidere allo stato degli atti qualora la parte in appello abbia chiesto la riassunzione di prove già acquisite a dibattimento; sopravvenienza o scoperta di nuove prove dopo il giudizio di primo grado, purchè non manifestamente superflue o irrilevanti; assoluta necessarietà rilevata d’ufficio dal giudice.
Sebbene l’ipotesi in esame, ovverosia il caso in cui il giudice di appello condanni sulla base di una mera reinterpretazione delle prove dichiarative precedentemente assunte, non sia espressamente prevista dalla legge, ad avviso delle Sezioni Unite, detta eventualità deve essere implicitamente compresa tra quelle legittimanti una nuova attività istruttoria, in ossequio al rispetto del principio del “ragionevole dubbio“.
Tanto premesso le Sezioni Unite sono giunte alla conclusione che, il giudice di appello, non possa riformare la sentenza assolutoria impugnata dal P.M., in base ad una mera reinterpretazione delle prove dichiarative, senza avere proceduto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale ex art 603 co. 3 c.p.p. attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.
A tal fine “devono ritenersi prove dichiarative “decisive” quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull’esito del giudizio di appello, nell’alternativa “proscioglimento – condanna”. Appaiono parimenti “decisive” quelle prove dichiarative che, ritenute di scarso o nullo valore probatorio dal primo giudice, siano, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti, da sole o insieme ad altri elementi di prova, ai fini dell’esito di condanna”.
Detta conclusione risulta peraltro in linea con la proposta formulata nel 2013 dalla Commissione Ministeriale di inserire nell’art 603 c.p.p. un apposito comma (4-bis) che esplicitasse un simile dovere in capo al giudice di appello.
Quanto alla tipologia di vizio riconosciuta sussistente nel caso di specie, ad avviso della Suprema Corte la sentenza dovrà riteneresi affetta da vizio di motivazione (non già da violazione di legge) per mancato rispetto del principio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio” di cui all’art 533 co. 1 c.p.p.
Avv. Daniela Scarselli
15/11/2016